Pane e cultura. La Basilicata può investire su “libri e pietre”

di Antonio Rubino

“Non si mangia con la cultura!”. Disse un ministro  della nostra Repubblica. Al di la della grettezza della frase, l’affermazione è sbagliata. In Italia potremmo vivere di cultura. Attualmente dalla filiera culturale arriva il 5,4% della ricchezza prodotta nel nostro Paese. Sono 75,5 miliardi di euro di valore aggiunto che si sommano a quasi 1 milione e 400 mila posti di lavoro. Il settore culturale italiano si dimostra una risorsa anticiclica che da risultati di lungo periodo con forti capacità moltiplicative. (continua...)

Per ogni euro investito in cultura se ne attiva 1,7 nel commercio, nel turismo, nell’agricoltura, nei trasporti ed in edilizia. Tra “diretto” ed “indotto” parliamo di qualcosa come 214,2 miliardi di euro, il 15,3 % dell’economia nazionale. Fate voi!

L’investimento pubblico resta importante nel settore culturale, non solo in Italia (dove i tagli sono stati cospicui). Ad Oslo vengono investite le royalties del petrolio in cultura. L’idea è quella di far diventare la capitale norvegese una capitale mondiale dell’arte. E ci stanno riuscendo con risultati economici non da poco. Un caso da studiare per chi ha giacimenti petroliferi e culturali sul proprio territorio (…).

La Basilicata in questo settore ha un’opportunità: risorse finanziarie, stakeholders pubblici e privati molto importanti (le compagnie petrolifere su tutti) e risorse culturali da valorizzare anche in chiave turistica. Inoltre un modello di sviluppo a base culturale è quello che sovvenzionerà anche l’Europa nel 2014-2020 con il programma quadro “Creative Europe”. Nella nostra Regione assistiamo alla perdita di imprese, ad un’emorragia costante di posti di lavoro di un sistema produttivo che non regge alla crisi. Il settore culturale è invece quello che regge maggiormente in Italia, perdendo in termini nominali solo lo 0,3 % a fronte dello 0,8% complessivo nazionale.

Negli ultimi due anni gli occupati del settore culturale italiano sono cresciuti del +0,5%, a fronte dei dati negativi degli altri comparti. Perché mai in Basilicata non si dovrebbe investire in questo settore che risulta strategico in tempi di crisi? Nel 2012 il sistema produttivo culturale ha ottenuto un record nel saldo della bilancia commerciale registrando un attivo di 22,7 miliardi di euro. L’export di culturaè di 39,4 miliardi di euro, equivalenti al 10,1% dell’export complessivo nazionale. Fondamentale è la capacità attrattiva della cultura sul turismo: “se nel 2012 la spesa turistica ha toccato i 72,2 miliardi di euro, ben 26,4 di essi sono stati attivati dalle industrie culturali”.

La Basilicata può partire da questo dato. Non deve pensare ad un turismo di massa. In un tempo di mercato di nicchie definito non dalla geografia ma dagli interessi, qualsiasi territorio, anche sperduto, ha un “valore” da mettere sul mercato, grazie al web che abbatte le frontiere ha la possibilità di raggiungere il proprio target di riferimento. In Basilicata su questo terreno stiamo curando eccessivamente l’offerta, diversificandola in mille e più filoni, senza curarci tanto della domanda.

Serve un salto di qualità. Non si può più pensare di ricevere fondi pubblici per creare musei della civiltà contadina o pubblicazioni abbastanza fini a se stesse! “Il capitale culturale è un bene capitale che incorpora, preserva e fornisce valore culturale in aggiunta a qualunque valore economico esso possieda”. Gli effetti positivi dell’investimento in cultura, prima in formazione poi in impresa, può generare effetti positivi durevoli importanti in una Regione come la Basilicata ricca di “giacimenti culturali”, attivando anche le tante altre risorse presenti, così come dimostrato dall’effetto moltiplicatore dell’investimento in cultura.

Per troppo tempo abbiamo pensato a questi giacimenti culturali come musei polverosi, biblioteche statiche dove sistemare qualche richiesta di “posto fisso”. Serve un piano per gli investimenti in cultura, ben strutturato, basato su best practices italiane ed europee, così da creare nuove condizioni per la creazione di imprese culturali e industrie della creatività, che sono ad oggi soprattutto fondate e gestite da giovani.

Mettere in rete i beni culturali del territorio, scardinarli dal loro “isolamento cimiteriale” e garantirne valorizzazione e fruizione. Così forse potremmo mangiare con la cultura. Non mangeremo i vasi greci di Metaponto o le pietre del teatro romano di Grumentum, ma possiamo far fruttare questa eredità!  


Fondazione Symbola, UnionCamere, Assessorato al Turismo Regione Marche, Io sono cultura- L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi, Rapporto 2013.
Ibidem., p.34
Io sono cultura- L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi, pp.1-4
Film, video, mass-media, videogiochi e software, musica, libri e stampa; architettura, comunicazione e branding; artigianato, design e produzione di stile; musei, biblioteche, archivi, siti archeologici e monumenti storici; rappresentazioni artistiche, divertimento, convegni e fiere
Anderson Chris, The Long Tail, in Wired Magazine, 12-10-2006
Fabio Severino (a cura di), Un marketing per la cultura, Franco Angeli, 2007.
David Throsby, Economia e cultura, Il Mulino, 2005, p. 75.