di Giuseppe Melillo
Chiunque abbia visto dei film western o abbia letto qualche fumetto di Tex o Zagor avrà ben presente quelle immagini di paesi quasi deserti, i cui abitanti spiavano al riparo di qualche finestra. E tutt’intorno polvere, vento e silenzio.
Si può immaginare così un paese polvere? Questa suggestione evoca il rischio concreto di una regione che è a repentaglio polverizzazione. Il rischio che interi paesi siano destinati all’abbandono è forte, così come il conseguente vuoto culturale che si creerebbe con l’interruzione generazionale dei saperi e delle tradizioni legate al territorio e da cui si creano. La polverizzazione non è un fenomeno nuovo di discussione, anche in anni passati si è molto discusso sul tema e sui conseguenti rischi ed effetti. Qualche sociologo illustresulle pagine di un sito di una nota compagnia petroliferaauspicava che in fondo l’effetto petrolio poteva essere una panacea per quei territori soggetti a spopolamento e polverizzazione. (...continua)
Una soluzione però non in senso fordista, che vedeva una cospicua richiesta di manodopera anche non qualificata, e quindi ammettendo che non ci sarebbe stata creazione di posti di lavoro. Benefici e crescita sarebbero giunti in maniera indiretta attraverso le royalties e le fondazioni, le quali avrebbero immesso capitali e finanziato azioni di sviluppo territoriali in settori come l’agricoltura di qualità e valorizzazione di tipicità, nell’allevamento e addirittura nel turismo ambientale e nel turismo open-air . Mi è difficile immaginare dei turisti che scelgano come destinazione un territorio noto per le trivelle o dei consumatori consapevoli acquistino prodotti di nicchia provenienti da zone interessate da estrazioni petrolifere. A leggere più che un’analisi e/o studio mi è parsa una consacrazione, piena di contraddizioni che assume il sapore di una beffa. E nella mente si è formata l’immagine di un territorio che assomiglia sempre più a quel cane fermo davanti a una macelleria, pieno di sangue ma morto di fame.
Ma tutto ciò a distanza di più di un quinquennio dall’apparizione dello scritto non c’è stata inversione di tendenza e il tanto auspicato sviluppo consapevole e i paesi lucani sono sempre più soggetti ad abbandono. Continuando su questo trend le previsioni indicano che nel 2050 la Basilicata potrebbe avere una popolazione intorno ai 450 mila abitanti. Le cause possono essere molteplici, ma certo è che viene sempre meno anche la capacità di fare sistema e nell’insieme massa critica. Non so a chi convenga realmente la desertificazione demografica e la conseguente polverizzazione strutturale e culturale della Basilicata ma bisogna agire prontamente. Bisogna agire, con azioni capaci di fermare quest’emorragia, guardando anche al mondo globalizzato, come auspica lo stesso sociologo di cui sopra, ma in ottica sana e di scambio alla pari, che incida sui processi piuttosto che subirli. La globalizzazione non è solo mercato o finanza ma è anche movimento di uomini e saperi.
In Basilicata secondo alcuni dati lavorano oltre 50 mila immigrati, oltre 30 mila lavorano in nero. Questo dato, per tanti paesi della Basilicata, può diventare un spiraglio di salvezza a patto che si assumano atteggiamenti e visioni di lungo respiro che permetta agli immigrati di poter ripopolare quegli spazi ormai abbandonati. Paesi potrebbero ritornare a riempirsi, scuole potrebbero salvarsi dalla chiusura, botteghe artigiane potrebbero riaprire. Si creerebbero condizioni per ribaltare anche quel processo di de-agrarizzazione che ha accompagnato il processo produttivo della Basilicata negli anni 90 a favore di una corrispondente crescita del manifatturiero. Il tessuto sociale avrebbe benefici dall’afflusso di nuovi abitanti e si invertirebbe la tendenza negativa spostandola in processi virtuosi di circolazione di esperienze utili alla crescita culturale ed economica dei piccoli borghi.
Un cambiamento di strategia e approccio per far si che i vialoni dei nostri paesi si allontanino dall’immagine di solitudine ventosa e polverosa. Una silenziosa rivoluzione. Un adagio cinese dice che “quando soffia il vento del cambiamento, alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento.” Sta a ognuno di noi scegliere cosa innalzare.