È una questione di civiltà

di Fabio Laurino

Alice ha 26 anni ed ha un fratello, i suoi genitori per altrettanti anni hanno convissuto, litigato, gioito e riso come tutte le coppie il cui legame è formalizzato con un istituto giuridico. Alice e suo fratello sono stati educati secondo i valori della famiglia unita, del rispetto, della considerazione e solidarietà per il prossimo, quei valori della religione cattolica che non hanno  fatto percepire loro alcuna differenza con le coppie unite in matrimonio. (continua...)

Nel 2007 i genitori di Alice hanno deciso di unirsi in matrimonio solo per essere riconosciuti da uno Stato che li aveva abbandonati non prevedendo per loro nessun riconoscimento civile e morale. Sembrerà strano ma questa è la storia di una famiglia lucana. Una famiglia della Basilicata del petrolio, dei problemi infrastrutturali, dell’alto tasso di disoccupazione.

Una famiglia della Basilicata, una regione del sud, forse ancora inesplorata o troppo dimenticata, ancora troppo poco avvezza a quelle trasformazioni culturali e sociali che hanno determinato un cambiamento del concetto tradizionale di famiglia. Ho sentito troppe volte parlare di “ritardo” della mia regione in alcuni settori cruciali per un effettivo sviluppo economico, ma mai del più problematico “ritardo” culturale che oggi investe questa terra. Il legame con il tetto familiare tradizionale e con il pranzo domenicale di mamma (dovuto forse ad un’assistenza familiare che sotto il peso della crisi, seppur ormai con qualche difficoltà, ancora regge in Basilicata), il voler esaudire a tutti i costi il desiderio della nonna che continua a chiederti “ma quando ti sposi?”, ci fanno credere che l’apice di un rapporto di coppia si raggiunga esclusivamente  con il matrimonio, facendoci perdere di vista il tratto caratterizzante di un’intesa tra due persone: l’amore reciproco.

A questo si aggiunga uno Stato che solo a fino poco tempo fa rabbrividiva al solo sentir parlare di “coppie di fatto” e si registra il “ritardo” di cui sopra. L’aspetto normativo che fino a 6 anni fa escludeva i genitori di Alice da qualsiasi forma di tutela giuridica è strettamente collegato all’aspetto culturale di un territorio. Dal secondo dipende il primo. Il primo, allo stesso tempo, lascia spazi, soprattutto a livello regionale e comunale, che possono determinare un cambiamento del secondo.

Una sorta di “cane che si morde la coda”. E’ avvenuto a Milano, Napoli e Torino, dove il registro anagrafico delle coppie di fatto è una realtà. È avvenuto in Friuli Venezia Giulia, in Liguria e in Emilia Romagna, dove per alcune agevolazioni il convivente di fatto viene riconosciuto come appartenente al nucleo familiare.

E allora perché non avviene in Basilicata? Perché la legge regionale del 14 aprile 2000 n. 45 in materia di “Interventi a favore della famiglia” continua a riconoscere la famiglia così come viene intesa dalla Costituzione italiana e non fa nessun riferimento a forme diverse di famiglia, dando piena attuazione a quel famoso art. 2 della nostra stessa Costituzione che troppo spesso viene calpestato?

È dal nostro territorio che dobbiamo partire. È da una nuova spinta culturale che bisogna cominciare. È da quel  percepire “distanti” delle situazioni che altrove sono all’ordine del giorno che bisogna costruire, perché quelle situazioni, seppur con ritardo, primo o poi diventeranno “nostre”. E’ una questione di civiltà.

Lo dobbiamo a noi tutti che auspichiamo uno sviluppo qualitativo del nostro territorio ma lo dobbiamo soprattutto a chi, come Alice, non vede delle differenze nell’amore e nell’educazione ricevuta, se non quell’album fotografico del matrimonio dei genitori che a casa sua per tanti anni non è stato presente. Ma non è stato determinante.