di Carmen Paradiso
La politica è social, è digitale: la politica è 2.0. Mai come prima la politica, nella scorsa campagna elettorale, è stata contagiata dal web, diventato in molti casi unico strumento di dibattito politico. Un nuovo modo di comunicare con gli elettori, sempre più scontenti e sfiduciati. Convinti che la politica sia ad un punto di stallo, incapace di dare risposte soddisfacenti ai cittadini. Un nuovo modo di formulare proposte politiche: adattandole al linguaggio del web. Talvolta con modi goffi e da principianti. Una corsa senza sosta alla creazione di blog, pagine facebook ed altro. (continua...)
Spin doctor veri o presunti tali che hanno affiancato politici, partiti ed outsider in questa nuova sfida con il linguaggio della rete. I politici hanno dialogato con la gente delusa, hanno tentato di ridare speranze per il futuro, attraverso il mondo virtuale . Un tweet dopo l’altro per uno slogan elettorale, che si diffondevano con la stessa velocità con cui si bruciavano: un tweet. Nuovi linguaggi, nuove forme di strategia comunicativa e nuove figure professionali. Un mix di professionalità e di presunzione che forse in molti casi ha fatto perdere di vista il vero obiettivo: avanzare proposte concrete per il Paese. È mancato forse, nella scorsa tornata elettorale l’approccio partecipativo del web.
È mancato forse il dialogo con i cittadini, il confronto con gli avversari politici sui temi più importanti del momento. Ed ecco che allora tutto si riduce ad una vetrina di slogan. Ci siamo trovati di fronte ad una “Fast poltics”: una politica veloce, forse troppo veloce. Una politica che ha avuto come unico obiettivo quello di rincorrere le nuove tecnologie. Il dibattito politico si è spostato nella piazza virtuale, abbandonando la piazza reale quella fatta di gente poco interessata all’evoluzione del web ma all’involuzione della vita. Quella interessata ai problemi reali. Quella che non sa come arrivare a fine mese.
Quella che vede tanti giovani emigrare. Quella che non raccoglie scontrini per terra. Insomma, forse, nella scorsa tornata elettorale si è pensato che per risolvere tutti i problemi del paese, bastasse un blog, tweet o una videoconferenza. O forse si è pensato che il web avrebbe potuto invertire la tendenza ormai diffusa, di sfiducia nella politica e nei partiti, e riavvicinare le persone e soprattutto i giovani a questo mondo?
O che il web avesse la bacchetta magica per risolvere tutti i problemi del Paese? Il sogno americano ci ha di nuovo abbagliati. Ma ci sembra ancora lontano anni luce dal modo di fare campagna elettorale del presidente Obama. C’è qualcosa che è completamente sfuggita ai nostri politici, troppo attenti a rincorrere l’avversario che più di tutti ha costretto a prendere confidenza con il nuovo mondo: quello del web. Forse qualcosa è sfuggito.
È sfuggito quello che è nella natura umana: il contatto diretto con le persone, il lavoro sul campo. Il face to face: una persona reale che parla ad un’altra persona reale. Niente di così trascendentale.